martedì 28 aprile 2020

Vivaismo - Nomenclatura di riferimento

NOMENCLATURA DI RIFERIMENTO

List of names of woody plants
International standard ENA 2010-2015
Applied Plant Research
The Netherlands, 2010

Sito di riferimento
http://www.internationalplantnames.com/


NORME UTILIZZO NOMENCLATURA

I nomi di pianta sono composti da due termini: il primo indica il genere, il secondo la specie.
Genere: prima lettera maiuscola Es. Fagus
Specie: tutto minuscolo Es. Fagus sylvatica
Ibrido intraspecifico: indicato con x minuscola tra genere e specie Es. Hamamelis x intermedia
Ibrido intragenerico: indicato con x minuscola prima del genere e specie
Es. x Cupressocyparis leylandii
In alcuni casi la specie può non essere indicata
Es. Camellia “Cornish Snow”, Cornus “Eddie’s White Wonder”, Cornus “Rutlan”
La specie può essere suddivisa in: cultivar, sottospecie, varietà, forma.
Cultivar: tra virgolette – ogni parola descrittiva della varietà inizia con maiuscola
        Es. Fagus sylvatica “Atropupurea Major”
Sottospecie: dopo la specie si indica con l’abbreviazione subsp. e il nome è scrittto in minuscolo
          Es. Cedrus libani subsp. atlantica
Varietà: dopo la specie si indica con l’abbreviazione var. e il nome è scritto in minuscolo
      Es. Callicarpa bodinieri var. giraldii
Forma: dopo la specie si indica con l’abbreviazione f. e il nome è scritto in minuscolo
Es. Cornus florida f. rubra     
Es. Viburnum plicatum f. tomentosum

I nomi riportati tra parentesi sono nomi obsoleti ma ancora commercialmente molto utilizzati
Es. Carpinus betulus “Columnaris” (Carpinus betulus “Monumentalis”)
Es. Cedrus libani “Glauca” (Cedrus atlantica “Glauca”)
Es. Magnolia hypoleuca (Magnolia obovata)
Es. Malus toringo var. sargentii (Malus sargentii)

Per piante sottoposte a royalty si utilizza dopo il nome della pianta l’appendice ® (Marchio Registrato Protetto) oppure l’appendice PBR (protezione del diritto di riproduzione - Plant Breeders Rigths).
Es. Hydrangea macrophylla “Hami” ®, Hydrangea paniculata “Snowwhite” PBR

In alcuni casi dopo il nome della pianta (genere, specie, varietà etc.) nei cataloghi vengono indicate alcune caratteristiche importanti dal punto di vista commerciale
Es. Acer palmatum da seme, Acer palmatum a ceppaia, Parrotia persica a più tronchi, Calocedrus decurrens da innesto, Calocedrus decurrens da seme, Magnolia x soulangeana fiore bianco

Appunti di nomenclatura botanica

Un po’ di storia

L’Uomo ha sempre mostrato interesse per le innumerevoli forme di vita presenti sulla Terra, ponendosi il problema di descriverle e raggrupparle in modo logico ed ordinato. Prima che la scienza moderna muovesse i primi passi, i nomi degli organismi viventi venivano tramandati per mezzo dei nomi volgari, che risultavano spesso diversi a seconda dei luoghi d’origine e delle varie tradizioni popolari. Spesso ad uno stesso nome potevano corrispondere specie sistematicamente distanti fra loro (ad esempio il termine “cedro” viene anche oggi riferito sia all’agrume Citrus medica sia al genere Cedrus appartenente alle conifere). In poche parole non esisteva ancora un sistema universale che garantisse un classificazione precisa e univoca per ogni organismo vivente.
Già in epoca classica, i grandi filosofi greci tentarono di dare un ordine alle varie componenti del mondo naturale, senza peraltro riuscirci compiutamente. In particolare, Aristotele operò una prima formale distinzione fra il regno degli animali (organismi a crescita definita, capaci di muoversi e alimentarsi) e il regno delle piante (organismi a crescita indefinita, incapaci di muoversi ed alimentarsi). Parte dei suoi studi furono proseguiti dal suo allievo Teofrasto che, classificando oltre 500 piante nei suoi due trattati, pose le prime basi della scienza botanica.
Nuovi contributi di tipo naturalistico furono apportati anche durante il periodo della Roma antica. Tra questi il più importante fu sicuramente Historia naturalis di Plinio il Vecchio, un trattato in forma enciclopedica che riuniva numerose informazioni anche su varie specie esotiche allora poco conosciute.
Sebbene le teorie aristoteliche rimasero in uso fino al termine del Medioevo, già durante il Rinascimento, Andrea Cisalpino elaborò un primo embrionale sistema tassonomico (De Plantis, 1583), in seguito utilizzato per la creazione del suo famoso “Erbario Cesalpino” (1563). L’esigenza di una corretta e seria nomenclatura, era fortemente sentita anche nel campo della Medicina: un piccolo errore di identificazione poteva talvolta comportare l’utilizzo involontario di piante velenose, con gravi rischi per la salute dei pazienti. D’altro canto, lo studio delle piante medicinali (dette anche “semplici”) aveva un ruolo fondamentale nella preparazione dei medici dell’epoca che sovente rappresentavano a pieno titolo i veri e propri botanici cinquecenteschi. Fu questa la ragione che portò nel 1545 alla nascita del primo orto botanico della storia, ovvero l’Orto Botanico di Padova (detto anche “Hortus Simplicium" o Orto dei semplici), all’interno del quale venivano accolte le principali collezioni di piante medicinali a scopo didattico.
Un ulteriore passo avanti nel campo della nomenclatura, fu compiuto da due botanici svizzeri, i fratelli Gaspard e Johann Bauhin, artefici di un nuovo sistema di classificazione fondato su nomi latini (Pinax theatri botanici, 1596).
La figura che però diede il maggior contributo allo sviluppo della sistematica moderna fu sicuramente il celebre naturalista svedese Linneo (Carl Nilsson Linnaeus, 1707-1778). Con i suoi studi sulla diversità biologica, in Systema Naturae (1735) e Species Plantarum (1753), cercò di riunire e ordinare gli organismi secondo un sistema gerarchico basato su caratteristiche morfologiche condivise. Egli definì la specie come l’unità di base di classificazione e, rielaborando i concetti ideati precedentemente dai Bauhin, introdusse il cosiddetto sistema linneano secondo il quale ogni organismo viene posizionato, mediante una scala gerarchica, in una serie di gruppi tassonomici, detti taxa (taxon, al singolare). Le suddivisioni principali di questo sistema sono: Regno, Phylum, Classe, Ordine, Famiglia, Genere, Specie. Il nome di ogni specie, viene indicato, secondo la nomenclatura binomia linneana, da due termini latini: nome del genere (detto anche epiteto generico) seguito dall’epiteto specifico (che caratterizza e distingue una specie da altre appartenenti allo stesso genere).


Utilizzo dei nomi scientifici

I nomi scientifici si basano sul sistema di nomenclatura binomia ideata da Linneo, e rappresentano lo standard di classificazione degli organismi, riconosciuto a livello mondiale. Vediamo ora alcune delle principali regole da seguire per un loro corretto utilizzo.

1. Come abbiamo detto, Il nome di una specie è formato dal nome del genere seguito dall’epiteto specifico. Sia il genere che l’epiteto specifico devono essere scritti in corsivo, il genere con l’iniziale maiuscola e l’epiteto specifico con l’iniziale minuscola (es. Drosera intermedia è corretto mentre Drosera Intermedia è errato).
L’epiteto specifico deve essere necessariamente preceduto dal genere affinché il nome della specie sia corretto. Ciò assume un’importanza fondamentale quando ci riferiamo a delle specie con lo stesso epiteto specifico ma appartenenti a generi diversi (es. Drosera intermedia e Utricularia intermedia).

2. Quando in un discorso si fa riferimento per la prima volta a una specie, questa deve essere riportata per esteso (es. Heliamphora nutans). Se nelle frasi seguenti si fa di nuovo riferimento alla stessa specie o ad altre dello stesso genere, quest’ultimo può essere abbreviato (es H. nutans, H. tatei).

3. Data la loro natura di binomi latini, i nomi scientifici delle specie non devono essere preceduti da articoli né essere riportati al plurale.
Ad esempio è errato scrivere “la Sarracenia flava e la Sarracenia leucophylla presentano filloidi”, mentre è corretto: “Sarracenia flava e Sarracenia leucophylla presentano filloidi”. È altresì sbagliato scrivere “le Sarracenie flave”.

4. Se a seguire l’epiteto specifico sono presenti sottospecie, varietà o forme, queste andranno riportate in corsivo con l’iniziale minuscola, mentre le abbreviazioni “subsp.”, “var.” e “f.” rimarranno in stampatello (es. Sarracenia purpurea subsp. venosa var. burkii f. luteola). Ricordiamo che l'ordine gerarchico è dato da specie, sottospecie, varietà e forma, e che con "sottospecie" si indica quasi sempre un gruppo di piante geograficamente isolate che mostrano dei caratteri diversi dal resto della specie, ma che non sono ancora sufficientemente distinte da giustificare la creazione di una specie a se stante; con "varietà" si indica un gruppo di piante con alcuni tratti peculiari che le differenziano da altre della stessa specie o sottospecie, non così distinti come nelle sottospecie, ma comunque ben identificabili; con "forma" si indicano piante con un tratto morfologico distintivo che compare occasionalmente in una popolazione di piante della stessa specie (ad esempio una colorazione o forma insolita).

5. Molte volte notiamo un nome, abbreviato o meno, dopo il nome scientifico. Esso ci da informazioni sull'autore (o gli autori) che ha descritto la specie e che ne ha stabilito il nome.
Ad esempio:
Sarracenia purpurea L. (L. indica che è stata descritta da Linneo);
Drosera citrina Lowrie & Carlquist è stata descritta da Lowrie e Carlquist;
Pinguicula filifolia Wright ex Griseb. è invece stata validamente descritta da Grisebach (secondo le regole del Codice Internazionale di Nomenclatura Botanica – ICBN, l’autore che precede la particella “ex” è colui che ha scoperto per primo la specie o che l’ha precedentemente descritta ma in maniera non valida). Le abbreviazioni dei nomi dei botanici sono standardizzate.

 6. Quando una specie viene trasferita ad un altro genere mantenendo lo stesso epiteto specifico, l'autore a cui è attribuita la descrizione viene posto tra parentesi e si aggiunge l'autore responsabile dello spostamento. Drosophyllum lusitanicum ad esempio, collocato inizialmente da Linneo nel genere Drosera e successivamente trasferito al genere Drosophyllum da Link, viene indicato come Drosophyllum lusitanicum (L.) Link.
L’epiteto specifico può inoltre essere trasferito tra ranghi tassonomici di livello inferiore o superiore:
Drosera tormentosa, ad esempio, descritta nel corso dell’800, è stata in seguito riconosciuta come una varietà di Drosera montana (Drosera montana var. tormentosa (St. Hil.) Diels);Sarracenia rubra subsp. alabamensis (Case & Case) Schnell è stata spesso considerata da taluni autori come specie a se stante (S. alabamensis). Anche in questi casi rimane testimonianza, tra parentesi, dell'autore del nome iniziale.

7. Gli ibridi sono degli individui prodotti dall’incrocio di due organismi. L’incrocio può avvenire fra specie diverse (interspecifico), fra generi diversi (intergenerico) o fra sottospecie diverse (intraspecifico). In quest’articolo descriveremo solo le regole principali per l’utilizzo dei nomi degli ibridi interspecifici, lasciando la trattazione completa a testi più autorevoli.
Supponiamo quindi di avere due esemplari appartenenti a specie diverse: Sarracenia flava e S. purpurea; se utilizziamo il polline di quest’ultima (genitore maschile) per impollinare un fiore di S. flava (genitore femminile), otterremo un ibrido semplice di costituzione S. flava × S. purpurea (= S. × catesbaei). L’incrocio può altresì essere effettuato invertendo l’ordine dei genitori: la pianta che produrrà i semi (genitore femminile) dovrà essere sempre indicata prima del genitore maschile. il segno di moltiplicazione “×” (cross), presente in ogni formula, può essere indicato anche tramite una “x” minuscola scritta in stampatello. Quando il sesso dei genitori di un ibrido non è conosciuto, è sempre preferibile mettere i nomi delle specie in ordine alfabetico. Incroci multipli possono portare alla formazione di individui di costituzione assai complessa, spesso indicata tra parentesi: Sarracenia × umlauftiana è ad esempio un ibrido complesso di costituzione:
[(purpurea × psittacina) × (leucophylla × psittacina)]. Come osservato negli esempi precedenti, per sostituire le complesse formule degli ibridi, talvolta si usano dei nomi particolari (catesbaei, umlauftiana). Questi termini dovranno essere riportati in corsivo con l’iniziale minuscola, esattamente come avviene per gli epiteti specifici.

8. Col termine cultivar (varietà coltivata) si intende una pianta o un insieme di piante selezionate in virtù di particolari caratteristiche o combinazioni di caratteri desiderabili che le accomunino (colore, aspetto, vigore, resistenza ai patogeni ecc.). Una volta propagate correttamente attraverso le apposite modalità definite all’atto della registrazione, le piante di una determinata cultivar mantengono inalterate le proprie caratteristiche per cui sono state scelte. E’ bene puntualizzare che il concetto di “varietà coltivata”  è nettamente diverso dalla varietà intesa in sensi prettamente botanici: quest’ultima infatti fa riferimento ad un particolare tipo genetico all’interno di una specie, che si è propagato e selezionato spontaneamente fino a costituire una popolazione con determinate caratteristiche. Le cultivar d’altro canto, possono essere rappresentate anche da una sola pianta, da ibridi ottenuti dall’incrocio fra più due o più specie e, talvolta, linee prodotte per autoimpollinazione. Per non addentrarci eccessivamente nel complesso sistema di regole (per il quale rimandiamo al Codice Internazionale per la Nomenclatura delle Piante Coltivate) divideremo le cultivar in due categorie ben distinte:
 -    cultivar definite “cloni”: vengono propagate esclusivamente per via vegetativa (divisione, talea ecc.) in modo che le piante figlie risultino geneticamente identiche all’individuo di partenza. Esse rappresentano sicuramente la tipologia più diffusa nell’ambito delle piante carnivore (es. Sarracenia 'Adrian Slack' , Dionaea 'B52', tanto per citarne alcune).
-    cultivar che comprendono anche piante geneticamente differenti, accomunate però da alcuni tratti fenotipici (o estetici) in comune (colore, forma del fiore, portamento ecc.). Possono essere riprodotte per autoimpollinazione o incroci fra linee simili, in modo che le successive generazioni mantengano ancora le caratteristiche fissate all’atto della registrazione. A tal riguardo, è bene puntualizzare che non sempre viene ottenuta una progenie con le qualità desiderate: la ricombinazione genetica porta talvolta ad esaltare i caratteri recessivi, con conseguente perdita dei caratteri iniziali. Esempi di questa tipologia, si riscontrano frequentemente nel caso delle piante annuali.

I nomi delle varie cultivar vengono rappresentati da un nome botanico (che in questo caso può essere il nome di un genere, di una specie o talvolta di un ibrido) seguito dall’epiteto del cultivar; quest’ultimo deve essere necessariamente un termine non latino, posto tra singoli apici, non in corsivo, con l’iniziale maiuscola e può essere preceduto o meno da “×” (nel caso degli ibridi), anche se è preferibile la forma contratta. 

Esempi: Dionaea muscipula 'B52'; Drosera 'California Sunset' / Drosera × 'California Sunset'; Sarracenia 'Adrian Slack' / Sarracenia × 'Adrian Slack'.
Nota: in passato era consuetudine utilizzare il termine "cv." davanti all’epiteto, cosa che oggi non viene più ammessa; è quindi sbagliato scrivere Sarracenia flava var. rubricorpora cv. 'Burgundy', mentre è corretto Sarracenia flava var. rubricorpora 'Burgundy' o Sarracenia 'Burgundy'.
Le “varietà coltivate”, affinché risultino valide, dovranno inoltre essere presentate ad un organo di registrazione internazionale (ICRA), che nel caso delle piante carnivore è l'ICPS.
Ciascuna cultivar dovrà essere accompagnata da un nome scelto dall'autore (non contenente termini latini e che non sia già stato utilizzato) e da una descrizione con foto che dovrà essere pubblicata su un periodico ad ampia diffusione, come ad esempio il la Carnivorous Plant Newsletter.
9. Le doppie virgolette sono spesso utilizzate per dare un nome ad una determinata pianta senza che questa sia stata registrata come cultivar. In passato venivano utilizzate insieme ai singoli apici in vari modi, per far riferimento alla location (Drosera intermedia "Mt. Roraima"), a particolari caratteristiche della pianta (Sarracenia flava “heavily veined”), al coltivatore che l’ha selezionata o a colui a cui è stata dedicata la pianta (Sarracenia leucophylla "Viv Topham", Sarracenia × "Diane Whittaker"). Oggi si preferisce riportare come note che seguono il nome questi dettagli di tipo descrittivo (es. Roridula dentata, Cederberg Mountains, nord di Città del Capo).

Nomi volgari e nomi linguistici

La nomenclatura scientifica si è rivelata di gran lunga la scelta migliore per quanto riguarda la classificazione precisa e univoca delle varie specie. D'altra parte, gli organismi viventi sono stati da sempre identificati anche attraverso i cosiddetti "nomi volgari" e i "nomi linguistici".
I nomi volgari rappresentano tutti quei termini attribuiti in base alle tradizioni popolari di una data regione o luogo d'origine. Come conseguenza di ciò, ciascuna specie è in grado di assumere diversi nomi anche a distanza di pochi chilometri, rendendo talvolta difficile un corretto inquadramento sistematico. Ad esempio il corbezzolo (Arbutus unedo) può assumere in Italia oltre novanta nomi volgari, di cui almeno una decina nella sola Toscana. A complicare ancor più le cose può succedere che ad uno stesso nome volgare corrispondano specie diverse.
Diversi nomi locali o regionali vengono utilizzati anche per le piante carnivore nostrane: ad esempio Utricularia australis è conosciuta anche come Erba vescica delle risaie, Erba vescia o Ova di Rospi; Pinguicula vulgaris come Erba unta comune o Erba dei cagli. Talvolta il nome volgare può essere antecedente al nome scientifico, per la cui creazione può essere stata presa ispirazione da un nome già esistente in una data lingua.
I nomi linguistici, al contrario dei precedenti, si basano sulla trasposizione in una data lingua dei binomi latini, favorendone così l'uso nella quotidianità; questo può essere utile specialmente nel caso dei paesi non di lingua neolatina (es. Gran Bretagna, Germania, Giappone), dove ogni binomio scientifico risulta scarsamente comprensibile o pronunciabile. I nomi linguistici sono composti da un nome seguite da un aggettivo e possono derivare da traslitterazione ( es. "Amanita falloide" per "Amanita phalloides").
Lo stesso Pignatti, nella sua Flora d'Italia, opera di riferimento a livello nazionale, propone per molte specie dei nomi linguistici comuni. A differenza di ciò che accade per i nomi volgari, sarebbe auspicabile una relazione univoca tra binomio scientifico e nome linguistico.
La relazione che intercorre fra denominazione scientifica e il corrispettivo nome linguistico è comunque difficile da inquadrare in regole ben precise. Il linguaggio legato ad esempio alla divulgazione o ai media, porta alla creazione di nuovi termini che, pur essendo naturalmente meno precisi dei relativi binomi latini, rappresentano una terminologia alternativa utilizzata spesso anche dalla comunità scientifica (es. "pino marittimo" in italiano e "maritime pine" in inglese).

Per quanto riguarda il come scriverli, sia i nomi volgari che quelli linguistici, non vanno scritti in corsivo; il primo termine può essere scritto con l'iniziale maiuscola, mentre gli epiteti successivi, sempre che non siano presenti nomi di persona o geografici (es. Giglio di S. Giovanni), con l'iniziale minuscola. E' comunque accettata anche la scrittura con entrambe le iniziali minuscole.

La necessità di creare un nome linguistico nasce essenzialmente quando una specie è comune, o comunque molto nota, oppure di qualche utilità. Anche relativamente ai "generi" vale lo stesso discorso. Ecco che la lingua italiana contempla il nome "pioppo" per il genere Popolus, oppure, restando nell'ambito delle piante carnivore, i nomi comuni "drosera", "pinguicola" e "utricolaria", generi presenti nella flora nostrana. E' altresì accettato il nome "nepente" per il genere Nepenthes, e questo sia perchè, pur non presente in Italia, la nepente è nota in tutto il mondo da diversi secoli, sia perchè la parola "nepente" è già presente nella lingua italiana (ad indicare una bevanda mitologica greca). Che necessità poteva esserci nel creare nomi comuni per, ad esempio, i generi Heliamphora o Drosophyllum?

Altri termini utilizzati in nomenclatura

hort. = indica che il nome è usato frequentemente negli orti botanici e in orticoltura.

nom. illeg. = nome non utilizzabile ma correttamente pubblicato (citabile ad esempio tra i sinonimi di una specie).

nom. inval. = nome non validamente pubblicato e quindi a tutti gli effetti "inesistente" dal punto di vista formale.

cf. (o cfr.) = Quando si ha un dubbio sul nome di una pianta, essa va confrontata con un altra (che presenta similarità) in modo da escludere o confermare l'appartenenza a quella specie.

aff. = si usa quando si vuole indicare un affinità di una specie con un altra nel caso vi sia incertezza.

nom. nud. = si usa quando un un binomio è stato pubblicato sprovvisto di descrizione scientifica. Anche questo tipo di nome è "inesistente" dal punto di vista formale per la normativa vigente.

sp. = questo termine viene utilizzato quando, per una determinata pianta, si conosce il genere ma non la specie precisa.

subsp. = sottospecie. Nota: In passato veniva anche usato il termine ssp. (spesso per rappresentare le sottospecie nel campo della zoologia più che in quello della botanica). Adesso sta cadendo in disuso in favore del più recente subsp.

spp. (o sp. , pl.) = termine utilizzato per far riferimento a tutte le specie (o molte specie) di un dato genere. Es. [C]Sarracenia[/C] spp.

sp. nov. = nuova specie (si utilizza solo nell'articolo scientifico dove la specie viene descritta).

stat. nov. = si usa per indicare uno spostamento: passaggio da sottospecie a specie, varietà a sottospecie ecc. (si utilizza solo nell'articolo scientifico dove lo spostamento viene effettuato)

syn = sinonimo che fa riferimento ad una determinata specie.

sphalm. typogr. = viene utilizzato quando ci si accorge che un determinato nome di specie è stato scritto in modo errato (errore di stampa)

var. = varietà.

f. = forma.




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